La Toscana è senza Piano Faunistico Venatorio regionale dal 2015, creando un vuoto normativo capace di esporre cacciatori e agricoltori a rischi di natura legale. Una situazione grave da risolvere quanto prima, iniziando col votare il nostro atto finalmente in discussione nel prossimo Consiglio regionale.
Quello di Remaschi non è un semplice errore, è come se Saccardi non avesse prodotto il piano sanitario regionale, lasciando correre ogni azione d’ambito senza alcuna legittimazione normativa. Tra le indicazioni del Piano Faunistico Venatorio regionale c’è l’indicazione delle aree private in cui poter cacciare. Senza questa pezza d’appoggio normativa, se un cacciatore spara in queste aree senza autorizzazione dei proprietari, questi potrebbero passare alle vie legali entrando anche nel penale. E in questo vuoto normativo rischiano anche gli agricoltori che chiedono alcuni indennizzi e in esteso tutti i toscani cui arriverebbe l’eventuale conto di una procedura d’infrazione europea.
Altre Regioni, come Veneto e Puglia, hanno saputo evitare il problema. Perché Remaschi non l’ha fatto?
Nella sua replica alla nostra denuncia si è arrampicato sugli specchi, ma sa bene che la via d’uscita raccontata non regge. I Piani Faunistici Venatori provinciali non sono lo strumento chiesto dalla Direttiva Habitat, né dalla normativa italiana, quindi anche se fossero in vigore non basterebbe a sanare il problema. E Remaschi dimentica che quei Piani li hanno abrogati.
A spiegare la questione legale l’avvocata Francesca Censini
“La Direttiva UE Habitat ha imposto agli Stati misure idonee per gestire il territorio, l’Italia ha la legge 57/1992 che regolamenta l’attività venatoria poi recepita dalla legge regionale. Questo quadro normativo definisce due strumenti per regolare la caccia: il Piano Faunistico Venatorio regionale e i Piani provinciali. Il primo individua criteri e linee guida per regolarizzare l’azione sul territorio agro-silvo-pastorale, i secondi attuano queste linee guida. Nel 2015, prima della scadenza del Piano Regionale, la giunta poteva o prorogarlo o crearne uno nuovo aggiornato. Non l’ha fatto e con la legge 20/2016 ha introdotto una norma transitoria che riesuma i Piani provinciali abrogati, forse sperando di colmare un vuoto che resta. Perché la legge nazionale non li prevede a disciplinare la parte regionale, sono di fatto scaduti e inadeguati alla normativa europea che ad esempio impone la valutazione di incidenza ambientale dell’attività venatoria, quindi una stima preventiva.
La caccia è quindi sempre lecita, ma comporta rischi. Come ha segnalato la consigliera, l’art. 842 del Codice Civile consente ad un cacciatore di cacciare nel territorio di un privato se indicato come territorio idoneo nel Piano Faunistico Venatorio regionale. Senza questo Piano quel cacciatore può trovarsi soggetto a contenzioso legale in sede civile e penale. Lo stesso gli agricoltori con fondi compresi nel Piano regionale. Grazie a questo possono chiedere indennizzi, ma senza questo come possono chiedere e ottenere questi contributi?”