Sono
lucchese, di nascita e di animo. Viareggio, per me così come per molti altri
miei conterranei, è sinonimo di sole, mare, feste: vita. A nessuno sarebbe mai
potuto venire in mente che quel benedetto fazzoletto di terra accarezzata dalle
onde del mare potesse divenire teatro di profondo dolore, morte. Ripensare a
quel che è accaduto spezza il fiato. Non entro nel merito di sentenze che, mi
limito a dire, avrei voluto vedere concluse con modi più rapidi e pene più
dure. Sì, perché la prescrizione, seppur solo riferita a incendio e lesioni
colpose, è una vergogna. Un oltraggio alle vittime: il dolore non si prescrive,
mai.
Fui il primo a rivendicare con un atto in Regione la necessità di scongiurare
lo spettro della prescrizione, un “tana libero tutti” che sarebbe equivalso
l’ennesima morte: quella della giustizia, della dignità, del rispetto. Se non
prima, almeno all’indomani della tragedia molte cose potevano e dovevano essere
fatte: cisterne anti-squarcio, limitatori di velocità, o il muro la cui
costruzione avrebbe tutelato le case e dunque i residenti. E invece nulla.
Ancora oggi troppo poco si ascoltano le persone, troppo poco si coinvolgono.
Viareggio è un po’ anche casa mia. La gente, la nostra gente, lì ha rialzato la
testa. Ma è importante che queste persone non siano lasciate sole. È importante
che qualcosa, quella tragica notte, abbia insegnato. Viareggio può essere
ancora sinonimo di vita, ma per prima cosa occorre rispettare la morte,
rispettare chi non c’è più. Chi, oggi, quella vita avrebbe potuto viverla: a
loro deve andare il nostro pensiero; ai familiari rimasti, straziati dal
dolore, il nostro abbraccio.
Gabriele Bianchi, consigliere regionale M5S